1. La mafia è un fenomeno criminale di origine siciliana che ha il suo epicentro in Palermo, ma che si estende pervasivamente su tutta la Regione, in diverse aree nazionali ed all'estero, e che, per il carattere esclusivo che lo contraddistingue, tendenzialmente non consente alcuno spazio per dinamiche criminogene antagoniste.
Peraltro, nel tempo, il termine "mafia" ha subito un ampliamento semantico diventando parametro socio-giuridico per qualificare tutti i fenomeni dello stesso genere, comunque localmente denominati in cui si individua il "quid pluris" previsto dall'art. 416 bis C.P. italiano che definisce le caratteristiche dell'associazione per delinquere di tipo mafioso.
(1) In senso strutturale, la mafia siciliana si identifica, per le comuni cognizioni, nella sua organizzazione di maggior consistenza strutturale denominata "Cosa Nostra", di gran lunga la più importante tra i gruppi che la costituiscono, dotata di un ordinamento radicato nelle tradizioni sociali originarie, di organi formali di direzione, di criteri di elezione particolarmente selettivi e con un territorio sul quale esercita un controllo tendenzialmente assolutista.
È organizzata secondo un modello verticistico, che prevede "famiglie", "mandamenti", "commissioni provinciali" e "commissione regionale", così da consentire, pur nella capillarità della sua articolazione e nella complessità del suo ordinamento, di impostare strategie unitarie.
La struttura base di "Cosa Nostra" è la "famiglia", un insieme di soggetti che controlla un centro abitato o un'area geograficamente ben definita. Essa è governata dal "capo-famiglia", tradizionalmente di nomina elettiva, che designa il "consigliere'', che rappresenta il suo consulente, ed i "capi-decina" che coordinano e dirigono gli "uomini d'onore". Più "famiglie" limitrofe compongono il "mandamento", il cui capo fa parte della "commissione provinciale". I rappresentanti della "commissione provinciale" costituiscono la "commissione regionale" insieme alle altre "commissioni" delle realtà mafiose siciliane. La "commissione" di Palermo vanta però un'autorità ed una libertà d'azione nettamente superiore alle altre.
Questo assetto è relativamente moderno ed è stato definito, alla fine degli anni '50, con l'apporto dei boss mafiosi italo-americani, con lo scopo di offrire una migliore possibilità di gestione degli affari interni e delle crescenti attività criminali dell'organizzazione.
Nata nel corso del milleottocento come forma d'intermediazione tra i latifondisti e braccianti, quale elemento di controllo e di potere espresso dai primi nei confronti dei secondi, la mafia ha acquisito progressivamente più ampi poteri di rappresentanza fino a sostituirsi agli stessi mandanti.
Nel tempo essa si è evoluta, passando dalla campagna alla città, gestendo la ricostruzione post-bellica degli anni '50, il boom dell'edilizia poi divenuto noto come "il sacco di Palermo", il contrabbando di sigarette, i sequestri di persona ed il narcotraffico.
La mafia, infatti, nel tempo si è caratterizzata per il rapido adeguamento dei valori arcaici della tradizione alle esigenze del presente, in piena osmosi con la società, attraverso l'uso integrato di intimidazione e clientelismo, violenza e corruzione, risultando peraltro nei fatti sempre uguale a se stessa.
In diversi momenti storici si sente parlare da più parti, anche in ambienti qualificati, di una "mafia nuova", limitando l'analisi ai soli diversi modus operandi dei mafiosi.
(2)
Molti di coloro tra i mafiosi che hanno deciso di collaborare con lo Stato italiano pongono a base della loro scelta proprio l'involuzione dell'organizzazione che non rappresenta più quella a cui hanno a suo tempo aderito.
Pur ammettendo l'onestà e la buona fede delle loro intenzioni, non si può disconoscere l'ambiguità dell'asserto, fondato sulla presunzione dell'esistenza di una "buona mafia" a fronte di una "cattiva mafia'', accettata anche fino a qualche decennio scorso da una certa critica socio-politica.
In effetti la mafia ha subito una modificazione strutturale e funzionale che ne ha offerto un'immagine di volta in volta differente.
I mafiosi alla vecchia maniera, quali Genco Russo e Calogero Vizzini, vecchi capi di "Cosa Nostra" negli anni compresi tra le due guerre mondiali, risultano l'archetipo dell"'uomo d'onore" di un tempo, intermediario sociale ed uomo d'ordine e di pace.
Il termine "Padrino" nasce proprio dall'esaltazione della rappresentazione del "tipo mafioso'', coordinatore delle diverse istanze sociali.
A ben vedere però l'intermediazione è tutt'altro che richiesta ed è frutto di un'imposizione con la logica dell'intimidazione e dell'assoggettamento, è un ruolo ordinatore dei conflitti e delle dinamiche della comunità siciliana, è una funzione tutoria che consente l'acquisizione indebita di un profitto in cambio di tutela/protezione.
Il vecchio mafioso è complementare al potere politico ed istituzionale in un contesto di disgregazione sociale accentuata che egli stesso alimenta con l'effetto paralizzante della sua azione, solo in apparenza positiva per la sicurezza pubblica, l'ordine ed il progresso civile della comunità.
È invece vero che la "vecchia mafia" riflette le condizioni del sistema rurale, nel quale operava, fondandosi su valori legati, oltre che all'affrancamento dalla povertà, al prestigio di un'investitura frutto di rapporti elettivi e selettivi.
In tale quadro di solidarismo fittizio, la mafia ha goduto della simpatia culturale di miopi cultori di storia siciliana e della sufficienza analitica di chi ha considerato per troppo tempo il fenomeno come un mero prodotto folcloristico.
Solo una sensibilità superficiale, però, non consente di ricordare gli omicidi di magistrati ed investigatori, le stragi che si sono succedute in tutta la storia della mafia, non ultimi gli eventi di Ciaculli (PA) del giugno 1963, ove morirono il Tenente dei Carabinieri Malausa e sette suoi collaboratori, la strage di viale Lazio nel dicembre 1969
(3) , gli omicidi del giudice Scaglione, le auto-bomba contro i giudici Chinnici e Palermo, non inferiori per carattere cruento a quelle che hanno ucciso nel 1992 i giudici Falcone e Borsellino.
L'evoluzione sociale ed economica della Sicilia, in rapporto ai diversi assetti politico-istituzionali nazionali, condiziona l'atteggiamento del mafioso, che ricorre a criteri organizzativi e comportamentali conseguenti e più remunerativi rispetto ai diversi contesti in cui si esplica, agli spazi economici legali ed illegali da occupare, ai referenti locali e nazionali più o meno disponibili al compromesso. L'urbanizzazione, l'incremento demografico, frutto dell'emigrazione interna verso area di elevata concentrazione di risorse umane e produttive e la conseguente centralità economica di Palermo degli anni '60, matura un nuovo modello mafioso che, rispetto a quello precedente, è più:
- aderente a una concezione organizzativa di tipo imprenditoriale;
- attento alla economicità dell'attività criminale;
- moderno nei rapporti con le lobby del potere cittadino.
L'assenza di una coerente attività di contrasto consente al mafioso degli anni '60 un più palese rapporto con i politici locali che vengono, infatti, avvicinati alla luce del sole. Con la costituzione della commissione Parlamentare Antimafia
(4) ed a seguito dell'allarme sociale provocato dalla strage di Ciaculli, i suddetti rapporti vengono solamente coperti ma non interrotti.
Negli anni '70 la crescita esponenziale del potere della "famiglia" mafiosa di Corleone, comune agricolo in provincia di Palermo, può godere dell'appoggio di alcune "famiglie" palermitane che, nell'arroganza dei "parvenus" del contado, intravedono elevate possibilità di ottimizzare la gestione del profitto nelle diverse attività economiche illegali delegate operativamente al nuovo gruppo. Sono proprio i "corleonesi" a rappresentare il germe che apporterà sensibili variazioni alla morfologia di "Cosa Nostra"; ma essi non devono essere considerati di diversa cultura mafiosa, bensì il prodotto di convergenti interessi e maturazione di soluzioni criminali già da tempo in divenire. Con l'ascesa di questa nuova "famiglia", la violenza e l'assoluta determinazione prendono il sopravvento nelle strategie di "Cosa Nostra".
Viene riconsiderato il messaggio mafioso che sino a quel tempo cercava di evitare ogni forma di allarme sociale e di attacco diretto allo Stato. Esempio ne è il ricorso ai sequestri di persona, che tradizionalmente erano stati evitati, perché non rispondenti ai canoni dell'organizzazione e perché ripugnavano alla coscienza collettiva. Sono proprio tali reati, per lo più perpetrati nel Nord Italia, a creare la ricchezza primitiva che consentirà a "Cosa Nostra" in generale ed ai "Corleonesi" in particolare di potere affrontare gli oneri gravosi del contrabbando di sigarette e poi del narcotraffico.
Un compromesso ben presto accettato, sebbene "ob torto" collo, da ogni "famiglia" mafiosa che, in tal modo, ha potuto garantirsi una rilevante parte di utili della gestione, in regime di monopolio, del traffico internazionale di stupefacenti, soprattutto in direzione americana e mediorientale.
In prosieguo di tempo, nella stessa Sicilia, sorgono le prime raffinerie di morfina base, con l'impiego di specializzati organici alle stesse famiglie, con profitti da capogiro.
Nei primi armi '80, una nuova "guerra di mafia" ha determinato la destrutturazione ordinativa di "Cosa Nostra", che intervenuta dopo quella funzionale sopra menzionata, ha prodotto un cambiamento radicale dell'organizzazione. I "corleonesi", risultati vincenti, hanno infatti ridefinito l'ordine interno, annullando ogni forma dialettica, privando le articolazioni periferiche della tradizionale autonomia e azzerando ogni capacità decisionale degli organi consultivi.
In tale ambito la conquista del potere di Riina è avvenuta in due fasi:
- eliminazione degli esponenti più rappresentativi dello schieramento avversario;
- graduale opera di selezione interna al gruppo, secondo criteri personalisti e di affidabilità, utilità e prevenzione.
L'effetto indotto, peraltro prevedibile ad una attenta analisi del fenomeno, è stato quello di trasformare la mafia in un prodotto raffinato di gangsterismo organizzato. Ciò non vuole significare però che la mafia nel tempo sia totalmente cambiata, ma che essa si è naturalmente evoluta secondo scelte maturate nel tempo e rispondenti ad una necessità "storica".
Le stesse stragi del 1992-1993 (5) rappresentano la volontà di convincere le Istituzioni a riproporre già percorse forme di mediazione e di collusione, attraverso una strategia di morte tesa a colpire nemici o persone non ritenute più affidabili. Nella storia della mafia siciliana lo stragismo è una componente che affiora ad intervalli ciclici in presenza di congiunture di tipo storico-sociale. L'esasperata determinazione corleonese ha consentito, però, di superare i criteri selettivi un tempo adottati nelle azioni criminose, ampliandone dimensioni e modalità in relazione alla maggiore diffusione del tipo di messaggio necessario a conseguire l'effetto desiderato.
Indubbia rilevanza rivestono le leggi speciali antimafia (6) che hanno costituito il catalizzatore ed il volano di una coscienza civile. Esse hanno seguito un andamento ondivago, frutto delle emergenze derivanti dagli eventi delittuosi eclatanti e solo di recente hanno costituito un reticolo repressivo di adeguata efficacia; la normativa specifica infatti ha consentito un'attività di contrasto di volta in volta perfezionata in relazione ai mutamenti strutturali e funzionali di "Cosa Nostra", permettendo di colpire il momento più rilevante per le organizzazioni mafiose che è l'esercizio del dominio sul territorio inteso quest'ultimo anche come spazio economico.
Il momento più delicato per gli equilibri di forza del contesto mafioso siciliano è l'arresto di Salvatore Riina (15.01.1993).
In effetti, già da tempo l'assetto interno di "Cosa Nostra" era fortemente minato da una serie di cause interne ed esterne alla struttura.
In merito alle prime, vanno messe in evidenza:
- la rivoluzione ordinativa attuata da Riina e da Bernardo Provenzano altro esponente di spicco dei "Corleonesi", ed il conseguente accentramento di potere nelle mani di pochi;
- la personalizzazione dei fini dell'organizzazione in capo agli interessi di pochi fedeli e conseguente stress dell'intera struttura con l'effetto dell'abbattimento motivazionale di molti alleati degli stessi "corleonesi".
Tra le cause esterne emergono:
- la buona qualità delle forze investigative di contrasto e lo sfruttamento della recente normativa premiale per i collaboratori;
- la rottura forzata dei legami tra le strutture di "Cosa Nostra" e gli ambienti politici nazionali e regionali, ritualmente collegati alle evoluzioni del potere mafioso territoriale;
- la nascita di altre realtà criminali sul territorio siciliano non più direttamente controllabili da "Cosa Nostra", costretta pertanto, in talune zone, sulla difensiva;
- la crescita esponenziale di altre strutture criminali di tipo mafioso che hanno saputo elevare la loro incidenza in molte aree nazionali, ed all'estero, in particolare la 'ndrangheta calabrese e la camorra campana.
In un contesto così creatosi, "Cosa Nostra" ha iniziato una lenta implosione che ha determinato lo sviluppo di numerose conflittualità interne che hanno prodotto:
- alleanze occulte a discapito di una rigorosa disciplina a "centralismo democratico";
- fratture insanabili anche tra uomini d'onore appartenenti alla stessa famiglia;
- riduzione dei contatti con altre organizzazioni criminali;
- organicità delle strutture deputate al riciclaggio dei proventi illeciti, a vantaggio dell'affidabilità della gestione ma a scapito, spesso, della capacità d'interlocuzione nei mercati di massimo livello;
- l'incapacità di gestire con saggezza e parsimonia il flusso di denaro relativo alla realizzazione di grandi opere pubbliche, delegando il potere a comitati di affari non sempre direttamente controllati dall'organizzazione;
- la proliferazione di alleanze estemporanee con elementi appartenenti ad altri gruppi criminali operanti nel settore dei narcotici; cause principali queste dell'indebolimento dell'assoluta impermeabilità che caratterizzava, negli anni '70 e '80, "Cosa Nostra".
Sulle basi di quanto premesso è possibile tracciare un sintetico quadro situazionale ed un prevedibile quadro evolutivo:
A. Quadro situazionale:
- Salvatore Riina può essere considerato ancora virtualmente il capo di "Cosa Nostra";
- il "reggente" (7) è Bernardo Provenzano sostenuto dai latitanti corleonesi di spicco (Bagarella, Brusca, Aglieri, Greco e Troia);
- l'organizzazione può contare certamente su un agguerrito gruppo di fuoco pronto ad ogni tipo di azione, composto da validi killer palermitani e trapanesi;
- l'attività investigativa in atto lascia intuire che:
· la tendenza delle alleanze non ha subito mutamenti;
· l'iniziativa nella gestione del traffico di droga non è mutata da parte degli uomini d'onore operanti nello specifico settore;
· la propensione alle collaborazioni con la giustizia è crescente, ma non è da escludere la strumentalità di alcune di esse.
B. Quadro evolutivo:
- è prevedibile la formazione di gruppi apertamente avversi ai "corleonesi";
- sono certamente iniziate significative mutazioni nel panorama ordinativo di "Cosa Nostra" (sospensione di affiliazioni (8) , scioglimento di "famiglie" e della stessa "commissione" ecc.) come è avvenuto in altra epoca al fine di recuperare credibilità e riservatezza ormai compromesse;
- non è da escludere un'evoluzione militare che porti a nuove aggressioni alle Istituzioni e un ritorno agli omicidi eccellenti.
In sintesi, allo stato appare ipotizzabile che la base di "Cosa Nostra", pur destabilizzata, stia lentamente assorbendo il contrasto esercitato dalle forze dell'ordine. A fronte di un'implosione ordinativa della struttura, si sta consolidando una nuova leadership che, all'ombra dei grandi latitanti, sta costruendo nuovi quadri sconosciuti ai collaboratori di giustizia ed agli investigatori.
La recente ripresa omicidiaria nella provincia di Palermo, che ha suscitato vivo allarme sociale, sembra determinata della volontà dei "corleonesi" di legittimare il proprio potere militare e territoriale con operazioni chirurgiche all'interno e con simboliche e cruente azioni repressive nei confronti di effervescenze criminali radicate nel fronte, in verità debole, dei cosiddetti "scappati", cioè coloro che hanno perso la guerra di mafia dei primi anni '80.
La dimostrazione di forza assume rilevanza maggiore alla luce di una nuova flessibilità ordinativa interna che riguarda un diverso rapporto tra famiglie e territorio.
Le indiscusse capacità relazionali del Provenzano l'attuale esponente di maggior carisma rimasto libero, unite alla sua determinazione militare, potrebbero aprire una nuova campagna per "Cosa Nostra" che, a seguito della strategia stragista percorsa negli anni '92 e '93, avrebbe ora la necessità di assestare le fila, riassumere credibilità interna più che di dimostrare rinnovata potenza militare e consolidare alleanze con altre espressioni della Criminalità Organizzata nazionale che, da tempo, hanno rinunciato alla subalternità rispetto a "Cosa Nostra".
Infine non è da sottovalutare la possibilità di tentativi volti a ricostruire rapporti con esponenti istituzionali ai vari livelli, onde garantire il rinnovamento dell'accesso ad alcuni comparti del potere.
2. Particolare attenzione merita, oltre alle evoluzioni della "Cosa Nostra" palermitana, il panorama offerto dalla criminalità catanese, il secondo polo criminale per potenzialità della Sicilia.
Al fine di effettuare una valutazione dell'evoluzione del fenomeno appare in questo caso necessario operare una distinzione di massima tra le organizzazioni ritenute incluse in "Cosa Nostra" e quelle che ne sono fuori, comunemente ma non sempre propriamente definite col termine di "stiddare'' e di cui sarà poi fatto un breve cenno.
Le organizzazioni criminali ritenute vicine a "Cosa Nostra" si stima abbiano, già da qualche tempo, operato scelte coerenti alla volontà e necessità di ricompattare l'organizzazione stessa nella provincia etnea attraverso una efficace politica di intese anche con gruppi di diversa estrazione criminale.
L'organizzazione di "Cosa Nostra" in Catania e provincia secondo l'assetto assunto sul finire degli anni '80 si identificava nel gruppo facente capo a Benedetto Santapaola ed, in parte, in quello già risalente a Giuseppe Pulvirenti, inteso il "Malpassotu".
Allo stato invece la sua area di influenza risulterebbe comprendere il gruppo "Ercolano-Santapaola", un'élite del gruppo "Pulvirenti", con intese operative di consistente portata con il gruppo dei "Laudani", della "Savasta" e, più recentemente, con il gruppo "Cammisedda" capeggiato da Giuseppe Ferone. Le intese e le alleanze diffuse a cui "Cosa Nostra" è pervenuta negli ultimissimi tempi hanno consentito di realizzare un primo, importante risultato, quello cioè di interrompere, ovvero di ridurre, una rilevante conflittualità interna caratterizzata da numerosi omicidi. Al momento, l'unico polo criminale alternativo al consistente gruppo di "Cosa Nostra" si individua nella frangia dei "Cursoti c.d. milanesi" (il cui leader è Jimmy Miano) e in una aliquota del disciolto gruppo "Pillera-Cappello".
In particolare, per ciò che inerisce l'evoluzione del fenomeno criminale nella provincia etnea negli ultimi mesi è possibile ritenere che:
- le "famiglie" mafiose del catanese risultano tuttora efficacemente organizzate e proiettate a perseguire strategie operative che possano consentire di superare i danni derivati dalle confessioni dei numerosi "collaboratori di giustizia". La ricerca di nuovi modelli organizzativi, certamente caratterizzati da strutture meno vulnerabili sotto il profilo della circolarità delle conoscenze e delle notizie, ha determinato nuove strategie nel rapporto, tradizionalmente "sofferto", con i gruppi criminali non includibili nell'area di influenza di "Cosa Nostra" stessa;
- il conseguimento di intese tra detti gruppi costituisce la premessa per riorganizzare, in una nuova chiave, il controllo del territorio e delle attività economiche su di esso esercitate.
La leadership del gruppo Ercolano-Santapaola sarebbe stata ora attribuita a Salvatore Cristaldi, latitante, "uomo d'onore" di Picanello, (quartiere di Catania), espressione diretta di personaggi in atto detenuti che certamente continuano ad incidere sulle scelte strategiche e tattiche dell'organizzazione;
- l'evoluzione del fenomeno potrebbe conoscere, nel medio periodo, ulteriori momenti di conflittualità tra i gruppi, attesa la "culturale" aspirazione al contrasto della struttura di "Cosa Nostra" esprimibile dal gruppo "Cappello-Cursoti milanesi";
- non si può escludere - sulla scia delle scelte di "Cosa Nostra" palermitana - un'imminente recrudescenza di attentati nei confronti di elementi avversi all'area "santapaoliana";
- esistono forti indizi della propensione di numerosi elementi riconducibili al Santapaola ad operare finanziariamente nei paesi dell'Est Europeo, territorio fertilissimo, peraltro, anche per il traffico di armi e le nuove rotte della droga.
3. La "Stidda" è un'organizzazione criminale con caratteristiche mafiose che, con estrema ferocia e determinazione, ha posto in essere vere e proprie strategie di sterminio per il controllo del territorio, talvolta in contrasto violento, altre volte in maniera parallela, a "Cosa Nostra", al solo scopo di sostituirsi ad essa nel controllo dell'attività criminale.
L'organizzazione, che opera maggiormente nelle province di Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna e Trapani, ha origini antiche e nasce inizialmente intorno a uomini d'onore ritenuti non più idonei far parte di "Cosa Nostra" e quindi espulsi (9)
Le nuove aggregazioni criminali che si formano intorno a questi diseredati formano la cosiddetta "Stidda".
L'analisi comparata dei vari contributi resi dai collaboratori di giustizia, ed i risultati investigativi raggiunti hanno evidenziato un dato assolutamente nuovo ed importante che conferma il processo evolutivo ed il salto di qualità fatto negli ultimi anni dalla "Stidda".
Si tratta, in particolare, del collegamento dei gruppi criminali stanziati in diverse province della Sicilia, in una struttura a modello confederale che, al di là delle barriere territoriali, opera con finalità comuni tendenti a rafforzare la potenzialità offensiva delle specifiche realtà attraverso un mutuo e vicendevole scambio di attività delittuose. Altro elemento che accomuna tali gruppi criminali confederati è la situazione di aperto conflitto o comunque, come già accennato, di contrapposizione a "Cosa Nostra" pur con la tendenza a mutuarne le regole e l'organizzazione verticistica.
Ad esempio, nella provincia di Agrigento, le indagini hanno evidenziato l'esistenza di una trama associativa unitaria e compatta che collega tra loro gli esponenti della "Stidda", i quali, superando ogni limite territoriale, operano insieme per la consumazione di delitti dettati da esigenze comuni. E' in quest'ottica che si inquadrano sia l'omicidio del maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli, investigatore che negli ultimi anni aveva fornito validi indizi per un'efficace contrasto contro le attività svolte da pericolosi "stiddari", che l'omicidio del giudice Rosario Livatino, ad opera, per scambio di favori, di elementi residenti in Germania.
Va di per sé che l'azione criminale della "Stidda" non si limita all'area siciliana, ma trascende anche i confini nazionali.
Principale territorio estero e centro di comuni interessi dei gruppi criminali emergenti confederati è, infatti, la Germania. In alcune città di questo Paese, molti degli associati hanno validissimi referenti che, oltre a garantirne l'irreperibilità o la latitanza nei momenti di pericolo, costituiscono anelli di collegamento per il proficuo compimento di illecite attività, che vanno dal traffico di stupefacenti e di armi, al controllo del gioco d'azzardo ed alle rapine. L'organizzazione è stata recentemente colpita grazie ad una proficua attività investigativa, ma l'attuale crisi organizzativa di "Cosa Nostra" di cui essa stessa è una delle cause, potrebbe contribuire alla sua rivitalizzazione.